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Atti della ricerca - Ragioni Pratiche

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Atti della ricerca

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  • La nozione di “intermediario culturale” è stata introdotta da Pierre Bourdieu nella Distinzione. Studiando la società francese degli anni sessanta, egli aveva individuato un campo professionale in ascesa il cui compito consisteva nella divulgazione della cultura legittima. Una missione disperata, mancando ai suoi componenti l’«autorità statutaria» per portarla a compimento (Bourdieu 1979b, 333). Questi volenterosi erano, fondamentalmente, i critici e i giornalisti attivi nei mezzi di comunicazione di massa: stampa, radio e televisione. Bourdieu li definiva “nuovi” intermediari culturali per distinguerli dai tradizionali specialisti che svolgevano questo ruolo nelle sedi legittime (scuola e università), e li collegava alla piccola borghesia, reverente verso la cultura legittima ma incapace di padroneggiarla con la disinvoltura propria delle classi sociali dotate dell’habitus adeguato.

  • "Quando Bourdieu descrive il campo universitario come omologo al campo del potere, con l’evidente opposizione tra la parte dominante e la parte dominata, e quando, con il metodo della prosopografia, con indici che rappresentano più o meno direttamente il capitale economico e culturale, classifica i docenti e la loro distribuzione nelle gerarchie disciplinari, si nota subito come, nelle statistiche, la presenza delle donne riporti percentuali bassissime, talvolta nulle, rispetto a quelle degli uomini (Bourdieu 1984/2013, p. 96)"

    Pubblichiamo l’anteprima di un saggio di Mirella Giannini in uscita nel volume Pierre Bourdieu, Il mondo dell’uomo, i campi del sapere, curato da Emanuela Susca per Orthotes Editrice.

  • Nel suo procedere Bourdieu ha operato spesso con lo scopo esplicito di affermare la propria identità di sociologo in contrasto esplicito e polemico con la tradizione filosofica di cui pur era figlio. E nella quarta di copertina della sua opera dedicata a Pascal, Méditations pascaliennes, si definisce, certo non casualmente, «anthropologue, sociologue, professeur au Collége de France» , negando così (o omettendo) la propria appartenenza alla corporazione dei filosofi e al campo disciplinare della filosofia. Solo in quanto sociologo e antropologo si occupa dei suoi antenati filosofi (Pascal, Hume, Kant, Marx, Husserl, Bachelard, Wittgenstein, Austin, Dewey) e dei loro eredi, per trasformarli in oggetti di studio sociologico ed etnologico, come se fossero i cabili, i contadini algerini o i contadini celibi del Béarn, tutti soggetti a cui Bourdieu aveva già dedicato o avrebbe dedicato il suo lavoro di sociologo e antropologo. In realtà egli vuole sottoporre a una critica esplicita il campo degli studi filosofici, così come si presenta alla sua riflessione.

  • Pierre Bourdieu e Roger Chartier, da rappresentanti della sociologia e della storia, si confrontano su come le due discipline cercano di conoscere e comprendere la nostra società. Nell’introduzione francese Chartier richiama le occasioni pubbliche di questo confronto e, durante le conversazioni, si fa spesso riferimento al dibattito scientifico che in Francia ha visto come protagonisti Bourdieu e gli storici. Un test per l’Italia, dove appare debolissimo il dibattito interdisciplinare tra sociologi e storici, nonostante, da un lato, la sociologia esperienziale colga l’attraversamento dei processi storici nelle vite individuali e, dall’altro, la storia sperimenti il rapporto tra macro e micro nell’approccio biografico. Per Bourdieu, «la separazione tra sociologia e storia è disastrosa e totalmente priva di giustificazione epistemologica: ogni sociologia deve essere storica e ogni storia sociologica».

  • La ricezione italiana di autori come Uwe Johnson, Günter Grass, H. M. Enzensberger e Peter Weiss negli anni Sessanta passa attraverso il conflitto tra due divergenti visioni della letteratura, di cui sono rispettivamente portatrici le case editrici Einaudi e Feltrinelli. Pur occupando posizioni assai prossime nel campo editoriale e muovendosi entrambe all’interno di un orizzonte culturale marxista, l’Einaudi, fondata nel 1933, subisce la concorrenza della più giovane Feltrinelli (1955), che al paradigma della letteratura antifascista e neorealista oppone la sperimentazione avanguardistica del Gruppo 63. Analogamente i germanisti in forza nelle due case, Cesare Cases (classe 1920) ed Enrico Filippini (1934), selezionano all’interno della produzione letteraria di lingua tedesca gli autori e le opere più adatte a corroborare le rispettive linee editoriali, ovvero la loro visione del mondo e della letteratura.

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