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Homo academicus in traduzione italiana - Ragioni Pratiche

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Homo academicus in traduzione italiana

venerdì 8 novembre 2013,  

[ pubblicato da Michele Sisto ]

[In occasione dell’uscita italiana di Homo academicus (trad. di Antonietta De Feo, Bari, Dedalo, 376 p.) pubblichiamo un estratto del volume contente alcuni brani della prefazone di Mirella Giannini e della postfazione di Loïc Wacquant. (v. pdf in calce)]

Sociologia come socio-analisi: storie di Homo Academicus

postfazione Loïc Wacquant all’edizione italiana

In Homo academicus Bourdieu applica il suo acume sociologico e la sua maestria interpretativa alla tribù di cui egli stesso fa parte, quella dei professori universitari francesi. Così facendo ci offre l’opportunità di capire meglio il suo lavoro, il mondo accademico in generale, e noi stessi in particolare.

A causa della sua struttura complessa, per comprendere adeguatamente Homo academicus occorre collocarlo nel quadro più ampio dell’intero progetto di Bourdieu. A una prima lettura si può notare che, a un livello più teorico, quest’opera fornisce una soluzione concreta ai problemi epistemologici sollevati in Per una teoria della pratica (1972) e in Il senso pratico (1980): la necessità di superare la fatale opposizione tra oggettivismo e soggettivismo, tra le ragioni soggettive e le cause oggettive, e di tenere sotto controllo il pregiudizio intellettualistico insito nello sguardo scientifico al fine di catturare le dinamiche immanenti all’azione sociale. In maniera più sostanziale, il libro può essere visto come un esteso prolungamento de La riproduzione: teoria del sistema scolastico ovvero della conservazione dell’ordine culturale (1970, con J.C. Passeron), in cui si proponeva un’analisi della scuola come agenzia di legittimazione e dissimulazione della diseguaglianza sociale (di classe), ma anche come un approfondito riesame di quelle parti de La distinzione (1979) che indagano sul ruolo esercitato dal capitale culturale istituzionalizzato in politica e nel dispiegarsi delle strategie sociali di distinzione. Homo academicus è inoltre un preludio a La noblesse d’État (1989), dove Bourdieu affronta di petto la struttura interna e le lotte intestine della classe dominante, nonché i molteplici meccanismi di consacrazione e naturalizzazione che mascherano e perpetuano il suo dominio, abbozzando così una teoria generale del potere tecnocratico. Inoltre, grazie al suo argomento e alla sua dimensione autoreferenziale, questo studio sul mondo accademico francese è forse l’anello cruciale nella lunga catena delle ricerche di Bourdieu, quello che, in ultima istanza, garantisce la solidità di tutti gli altri.

Senza dubbio, l’interesse scientifico di Bourdieu per gli intellettuali ha, come molta parte della sua sociologia, una forte componente biografica: la «traiettoria del miracolato», che lo ha portato da una delle regioni più depresse dello spazio geografico e sociale francese (uno sperduto villaggio del rurale Béarn) all’apice della piramide intellettuale del suo paese (il Collège de France a Parigi), spiega il suo sentirsi un disadattato nel mondo universitario. Ecco ciò che scrive: «Io contesto questo mondo perché esso contesta me, e in una maniera molto profonda, che va ben al di là del mero senso di esclusione sociale; io non mi sento mai pienamente considerato un intellettuale, non mi sento “a casa”». Ma Bourdieu, nel fissare il suo sguardo sui propri pari e su se stesso, ha anche in mente un ben preciso obiettivo scientifico: vuole dimostrare, in modo quasi sperimentale, che la riflessività sociologica determina una differenza cognitiva, e non solamente esistenziale o retorica, nello svolgimento di un’indagine sociale.

Homo academicus occupa così un posto davvero particolare nell’opera di Bourdieu, essendo sia il più personale, sia il più impersonale dei suoi libri. Esso entra nelle esperienze più intime della biografia dell’autore, eppure si colloca al centro della sua attività scientifica. Investigazione riflessiva dell’universo intellettuale, rappresenta una forma raramente praticata di «autoanalisi by proxy», che simultaneamente funge da paradigma di una scienza autocritica della società. Homo academicus porta la dialettica tra «coinvolgimento e distacco», di cui ha parlato magistralmente Norbert Elias, al culmine del parossismo. Per tutte queste ragioni si tratta di un libro che sta molto a cuore a Bourdieu, come è ampiamente testimoniato dalla candida ammissione della sua riluttanza e angoscia nel pubblicarlo.

Ciò che distingue Homo academicus dalla massa sempre più cospicua di studi che cercano di catalogare o categorizzare, elogiare o rimproverare gli intellettuali sta nel fatto che, invece di assumere un punto di vista parziale e partigiano sul mondo nel quale si muove, Bourdieu svela la totalità del gioco che genera tanto gli specifici interessi degli intellettuali, quanto la visione unilaterale che ciascun partecipante ha degli interessi degli altri. Tali interessi, egli sottolinea, «sono assolutamente irriducibili all’interesse di classe tradizionalmente denunciato dall’artiglieria pesante della sociologia marxista che si occupa degli intellettuali, i cui proiettili sono grandi, ma volano ben al di sopra di tutte le teste». Gli intellettuali sono mossi da forze, motivati da poste in gioco ed esercitano forme di potere che sono specifiche del campo accademico: solo un’inclinazione professionale per il disimpegno politico potrebbe giustificare un’analisi che prenda le sue mosse altrove.

Quali sono queste forme di potere? Una seria analisi della distribuzione relazionale dei professori secondo le loro origini e legami sociali, le risorse economiche e politiche, la traiettoria accademica, i titoli, le pratiche professionali e la notorietà, le posizioni politiche mette in luce un quadro chiasmatico che riproduce coerentemente la struttura della classe dominante. Sul lato delle discipline «temporalmente dominanti», medicina e diritto (a cui dovremmo aggiungere le business schools, il cui sviluppo è stato impressionante a partire dagli anni ’60), il potere è essenzialmente basato sul capitale accademico, vale a dire sul controllo degli strumenti materiali, organizzativi e sociali di riproduzione della facoltà. Sul lato delle discipline culturalmente autonome, simboleggiate dalle scienze naturali, il potere è radicato principalmente nel capitale intellettuale, ossia prestigio scientifico e capacità rigidamente definite da e tra pari. L’opposizione fra questi due poli rispecchia quello fra le due principali componenti della classe dominante, con gli uomini d’affari, i dirigenti e i funzionari statali situati sul lato del potere economico e politico, in contrapposizione con gli artisti e gli intellettuali, situati sul lato del potere culturale e simbolico. Trovandosi a metà strada tra questi due poli, le scienze umane e sociali sono similmente organizzate al loro interno attorno allo scontro fra autorità socio-politica e autorità scientifica.

Bourdieu mostra che il campo dell’università, inteso come l’insieme delle relazioni oggettive che sussistono fra le varie posizioni e discipline nella distribuzione di queste specie di capitale, è il teatro di una lotta costante finalizzata ad alterare la sua stessa struttura. Potere accademico e prestigio intellettuale sono al contempo armi e poste in gioco nella guerra accademica di tutti contro tutti. E la posizione all’interno di tale struttura determina, attraverso la mediazione della loro selezione e dello specifico condizionamento, le strategie adottate da chi la occupa per imporre questo o quel principio di gerarchizzazione nell’ambito dello specifico universo.

Dopo aver delineato la struttura immanente dello spazio accademico, Bourdieu procede a sbrogliare la logica sottesa alla sua trasformazione, sotto la spinta di forze morfologiche quali la crescita del corpo studentesco e delle facoltà, i cambiamenti nel reclutamento sociale di professori e studenti e l’inflazione delle credenziali, fino a culminare nei fatti del maggio 1968. Ciò gli permette di stabilire che l’omologia tra posizione (nella struttura della distribuzione delle varie specie di capitale nel campo universitario), disposizione e atteggiamenti non solo opera nella quotidianità delle pratiche professionali dei diversi tipi di docente, ma, più significativamente, indirizza esplicitamente le opinioni politiche e le azioni compiute durante un periodo di crisi.

In breve, le strategie professionali, le tendenze politiche e anche la produzione intellettuale degli accademici, che amano tanto pensare a se stessi come individui «fluttuanti» – come nella freischwebende Intelligenz di Mannheim – e fuori portata rispetto al comune determinismo, risultano essere intimamente, pur se in maniera complessa, determinate dalla loro collocazione e traiettoria nello spazio accademico. Pertanto, l’analisi delle collocazioni oggettive dei vari protagonisti nell’arena delle forze operanti dentro e sopra l’università, ivi compresi la collocazione e il punto di vista dell’analista (nel senso di «un modo di vedere a partire da un punto» all’interno di quello spazio), è il prerequisito di qualsiasi sociologia degli intellettuali che voglia essere rigorosa.

In un certo senso, al pari de La distinzione, il libro che lo precede, Homo academicus è sia una deliberata, seppur misurata, provocazione, sia un intervento politico nella specifica politica del mondo accademico. La speranza di Bourdieu è che il suo libro sia usato come un’arma nelle lotte accademiche per contribuire allo sviluppo dell’autonomia del campo scientifico e quindi della responsabilità politica dei suoi partecipanti. Per il sociologo francese non c’è opposizione fra autonomia e impegno. In punta di fatto, la «combinazione instabile» di queste due dimensioni, quella scientifica e quella politica, è per lui ciò che definisce la specificità dell’intellettuale moderno quale «paradossale essere bidimensionale», storicamente sposato con il «corporativismo dell’universale» (si veda il finale de Le regole dell’arte).

Alla stregua della crisi del maggio 1968, che spalancò uno spazio per l’attività politica mandando in frantumi la doxa prevalente nella società francese, Bourdieu spera che Homo academicus promuova, per quanto in misura limitata, un tipo di rottura con l’accettazione dossica del mondo accademico esistente che possa aiutare ad aprire nuovi spazi per la libertà e l’azione intellettuali. La pubblicazione del libro crea almeno la possibilità di una generalizzazione degli interrogativi che esso pone: ciascun lettore o lettrice può riprodurre o estendere per sé l’analisi, così che il lavoro di oggettivazione del soggetto oggettivante possa alla fine diventare il compito del campo scientifico su scala globale.

[dalla postfazione a Homo academicus, Bari, Dedalo, 2013, pp. 365-370]