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itSPIP - www.spip.netGiornata di studi a Bologna
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http://ragionipratiche.it/incontri/article/giornata-di-studi-a-bologna2019-11-12T17:38:23Ztext/htmlitFabio Andreazza<p>Venerdì 15 novembre si terrà a Bologna la giornata di studi "Fare ricerca con Bourdieu. Strumenti, applicazioni, problemi, confronti". In allegato la locandina.</p>
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il concetto di autonomia
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http://ragionipratiche.it/atti-della-ricerca/article/il-concetto-di-autonomia2019-07-06T12:54:41Ztext/htmlitFabio Andreazza<p>L'ultimo numero della rivista "Biens symboliques / Symbolic Goods" è dedicato al concetto di autonomia nella sociologia della cultura, delle arti e delle idee.</p>
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Giornata di studi a Padova
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http://ragionipratiche.it/incontri/article/giornata-di-studi-a-padova2019-07-03T12:15:46Ztext/htmlitFabio Andreazza<p>Giovedì 4 luglio si terrà a Padova la giornata di studi "Pierre Bourdieu in Italia. Bilanci, ricerche, proposte". In allegato la locandina.</p>
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Passeron su Bourdieu
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http://ragionipratiche.it/recensioni/article/passeron-su-bourdieu2017-05-05T08:03:39Ztext/htmlitFabio AndreazzaSociologiaAndrea GiromettiJean-Claude Passeron<p>In un libro di Jean-Claude Passeron la rottura con Pierre Bourdieu.</p>
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<div class='rss_chapo'><p>da: il manifesto, 25 aprile 2017.</p></div>
<div class='rss_texte'><p>A quindici anni dalla scomparsa di Pierre Bourdieu, esce la traduzione di un'importante testimonianza (datata 2003) di Jean-Claude Passeron – <i>Pierre Bourdieu. Morte di un amico. Scomparsa di un pensatore</i> (Armando, 2016, pp. 112, euro 12) – che con il sociologo francese condivise, alternando entusiasmo e difficoltà, più di un decennio di ricerche e co-scrittura. La preziosa introduzione di Giovanna Gianturco e Rossella Viola consente di riflettere sul percorso comune e sulla successiva biforcazione/separazione che ha contraddistinto gli itinerari dei due sociologi. Quest'ultima, se non incrinò l'amicizia e il dialogo sottotraccia, più o meno conflittuale, rinvenibile nelle opere – i due autori eviteranno pressoché di citarsi pubblicamente nel corso dei successivi trent'anni –, fu principalmente incentrata sulla diversa risposta data, come scrive Passeron, alla «questione epistemologica di ciò che il “vero dire” può “voler dire” nelle frasi del sociologo e, più generalmente, nelle asserzioni di tutte le scienze sociali». A ben vedere si tratta di una questione ancora attualissima, che riflette la debole autonomia dei campi in cui si articolano le scienze sociali e in particolare il campo sociologico ancora influenzato da un empirismo che feticizza le tecniche, senza interrogarsi riflessivamente sulla teoria più o meno spontanea che presiede alla sua pratica (e dunque subendo la pressione del discorso dominante, la seduzione del giornalismo e il mancato distacco dal “senso comune”). Paradossalmente, si tratta di uno dei principali avversari, insieme ad un metodologismo «poco interessato al senso di ciò che misura», contro cui già muoveva un testo come <i>Il mestiere di sociologo</i> (fuori catalogo da troppo tempo) pubblicato da Bourdieu e Passeron insieme a Jean-Claude Chamboredon nel 1968. Ed è proprio lo scarto che si è consumato rispetto a quell'impresa collettiva, in particolare nel percorso di Passeron, divenuto critico dell'ancoraggio troppo durkeimiano che vede impresso nell'opera, che permette di leggere più attentamente le differenze tra i due sociologi. <br class='autobr' />
Passeron, nei suoi ricordi dell'amico Bourdieu e del pensatore Pierre Bourdieu – i due giovani «militanti della ricerca» erano accomunati da «affetti d'intelligenza scientifica», seppure partendo da una diversità di habitus –, non esita ad evidenziare la torsione in senso marcatamente weberiano del suo tragitto teorico, dovuto a una rilettura delle opere comuni nonché delle migliori opere di Bourdieu, intento a distinguere le scienze sociali come scienze storiche non misurabili con i parametri utilizzati dalle scienze naturali. Ne rivendica, ad un tempo, il carattere costitutivamente “plurale” – il pensare per casi come sottolineano Gianturco e Viola – segnato dalla temporalità, dalla necessità d'interrogarsi continuamente su fondamenti e dispostivi di veridicità, e l'inscindibile legame con l'orizzonte valoriale che in quanto tale ridimensiona la portata del sapere sociologico rispetto alle altre scienze e che, al suo interno, guarda con sospetto la formazione di un paradigma “forte”, apertamente in lotta per l'egemonia nel campo sociologico, o, meglio, per la sua trasformazione, come quello proposto da Bourdieu con la costruzione di una scienza generale dell'economia delle pratiche. Eppure, la schematica contrapposizione tra una postura weberiana come quella di cui s'intende portatore Passeron e una tout court durkeimiana come si vorrebbe troppo riduttivamente attribuire a Bourdieu, non vede la complessità di quest'ultima, la difficile posizione che rigetta ad un tempo scientismo e relativismo nichilista. Si sottovaluta, ci pare, la lezione epistemologica di matrice bachelardiana, che ha segnato il percorso iniziale dei due sociologi (ancora ampiamente richiamata e ampliata, all'inizio degli anni duemila, da Bourdieu nel corso <i>Science de la science et réflexivité</i>), secondo la quale la conoscenza promossa da ogni scienza è sempre approssimata – si veda ora anche il <i>Saggio sulla conoscenza approssimata</i> (Mimesis 2016) di Bachelard, tradotto e curato da Enrico Caselli Gattinara –, nonché il carattere storico, e dunque soggetto a mutazioni e a vere e proprie rotture, che interessa le costruzioni teoriche più rigorose senza per questo pregiudicarne il carattere oggettivo. <br class='autobr' />
Vi è un altro punto di sensibile frizione evidenziato da Passeron quando pone in risalto – giustamente – il difficile e irrisolto rapporto tra politica e sociologia. Il radicalismo politico dell'ultimo Bourdieu, agito in nome di una verità sociologica, in termini bourdieusiani di una realpolitik della ragione, non convince sociologicamente, prima ancora che politicamente, Passeron, i cui trascorsi politici sono, peraltro, più marcatamente schierati a sinistra (dalla momentanea adesione al Pcf all'attenzione riservata al pensiero di Althusser e Foucault), ma scontano la cocente delusione dell'esperienza universitaria di Vincennes dove «gli opposti sinistrismi [tentavano] di trasformare l'azione pedagogica in cinghia di trasmissione della rivoluzione sociale» o di usare, sovente, la lotta politica per finalità carrieristiche. Ciò che non convince Passeron è l'idea che l'interesse che può motivare un impegno politico non possa che essere subordinato all'interesse ad una conoscenza chiara dei meccanismi di dominio fornita dalla sociologia, e dunque dalla necessità di non cedere ad una qualche retorica della persuasione di carattere profetico-propagandistico. Si stabilisce, pertanto, un dialogo disturbato tra chi come Bourdieu vede nel riconoscimento/disvelamento del dominio incorporato dai dominati la prerogativa di un impegno non più rinviabile e chi come Passeron vede, tra l'altro, nella teoria “rigida” del dominio elaborata dall'amico l'assenza di un elemento di entusiasmo politico (come era rinvenibile negli scritti più politici di Marx ed Engels) capace di coinvolgere i subalterni. Niente di più tragicamente attuale.</p></div>
Bourdieu et le travail
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http://ragionipratiche.it/recensioni/article/bourdieu-et-le-travail2016-10-21T13:51:11Ztext/htmlitFabio AndreazzaCampoLavoroMaxime QuijouxMichele Nani<p>Capitale simbolico, movimenti sociali, ascesa e declino del salariato. Un volume collettivo su Bourdieu et le travail, a cura di Maxime Quijoux.</p>
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<div class='rss_chapo'><p>da: il manifesto, 20 ottobre 2016.</p></div>
<div class='rss_texte'><p>Pierre Bourdieu è uno dei sociologi francesi più letti e citati nel mondo: tuttavia il suo ruolo è stato e resta marginale in uno dei settori più importanti della sociologia francese, la sociologia del lavoro. Parte da questo paradosso la ponderosa raccolta di studi <i>Bourdieu et le travail</i> (Presses universitaires de Rennes, pp. 400), promossa e curata da Maxime Quijoux. Noto ai più per le sue ricerche sulla cultura, sulle istituzioni formative e sugli intellettuali, oppure per il suo impegno pubblico a fianco dei movimenti sociali nel corso degli anni Novanta, Bourdieu si è forse disinteressato del lavoro come oggetto di studio? Quijoux e compagni lo negano recisamente, a partire dall'esperienza algerina del sociologo.<br class='autobr' />
Il primo libro di ricerca di Bourdieu, in collaborazione con altri studiosi, fu dedicato nel 1963 a <i>Lavoro e lavoratori in Algeria</i>. Prendendo congedo dalla sua formazione filosofica, il giovane ricercatore aveva operato una svolta verso le scienze sociali parallelamente al suo trasferimento all'Università di Algeri durante la guerra di indipendenza (su quel momento fondativo si veda <i>In Algeria. Immagini dello sradicamento</i>, Carocci, volume impreziosito dalle foto scattate dallo stesso<br class='autobr' />
sociologo, la cui edizione italiana dobbiamo ad Andrea Rapini). <br class='autobr' />
L'intreccio fra violenza coloniale e trasformazione capitalistica facevano dell'Algeria un<br class='autobr' />
laboratorio politico e sociale: il giovane studioso leggeva i conflitti in corso attraverso le<br class='autobr' />
trasformazioni del lavoro, contadino e urbano. Il mercato del lavoro algerino era caratterizzato dalla polarizzazione fra una massa di sottoproletari espulsi dalle campagne (anche ad opera dell'esercito coloniale) e la minoranza salariata urbana: mentre i primi vivevano lacerati fra i valori dell'universo contadino di partenza ormai dissolto e la precarietà della vita nei «campi di raggruppamento» e nelle bidonvilles urbane, cercando o inventandosi occupazioni giorno per giorno, i secondi grazie alla<br class='autobr' />
relativa sicurezza dell'impiego potevano accedere a una vera trasformazione antropologica, al riconoscimento di interessi collettivi, al conflitto, alla politica. I limiti di una lettura delle comunità rurali «tradizionali» legata agli studi coloniali precedenti e di uno schiacciamento sul presente di capitalismo e salarizzazione, ben evidenziati dai bei saggi di Fabien Sacriste e di Claude Didry, nulla tolgono all'antropologia della precarietà e del salariato delineate da Bourdieu nel quadro di una storicizzazione del capitalismo e dell'agire economico.<br class='autobr' />
Al ritorno in patria il sociologo si sarebbe convertito ad altri oggetti e avrebbe così dimenticato i lavoratori? Se lo spostamento degli interessi di ricerca è innegabile, Quijoux sostiene, con buone ragioni, che l'esperienza algerina e dunque la focalizzazione sul lavoro, abbia forgiato l'arsenale concettuale e teorico delle indagini a venire. Bourdieu non avrebbe mai rinunciato all'idea che il lavoro salariato, veicolo di dominazione sociale, è anche condizione del suo superamento e dunque dell'emancipazione dei subalterni.<br class='autobr' />
Il lavoro è inoltre essenziale nella definizione della teoria bourdieusiana delle classi e del loro conflitto, che nel volume è meno presente di quel che forse avrebbe meritato, così come non vi figurano le considerazioni sul movimento operaio, che hanno anche rappresentato il punto di partenza per la riflessione di Bourdieu sul «campo politico». La più sintetica introduzione in merito è forse in un saggio del 1978 (<i>Capitale simbolico e classi sociali</i>) ora disponibile in italiano grazie a Marco Santoro, che lo ha fatto tradurre sulla rivista «Polis» (n. 3), assieme a un utilissimo contributo di Loïc Wacquant su «come Bourdieu ha riformulato la questione delle classi».<br class='autobr' />
L'approccio del sociologo francese alle classi rappresenta un'integrazione critica e non un rifiuto di quello marxista (si veda la recensione, uscita su queste pagine il 7 febbraio scorso, di Andrea Girometti alla recente traduzione del saggio bourdieusiano <i>Forme di capitale</i>). Anche per questo nel volume compaiono un interessante contributo di Sophie Béroud sulla fertilità del concetto di «campo» per indagare il mondo sindacale e un ricco studio in cui Michael Burawoy, uno dei più importanti sociologi (neo)marxisti del lavoro, mette a confronto il proprio approccio e quelli di Gramsci e Bourdieu.<br class='autobr' />
<i>Bourdieu et le travail</i> non è solo un'opera filologica e teorica di ricostruzione degli approcci del sociologo al lavoro, ma presenta molte ricerche che si servono dei suoi strumenti per leggere le trasformazioni del presente, analizzando un ampio ventaglio di figure lavorative, ad esempio, fra gli altri, gli insegnanti, le professioni artistiche, le bibliotecarie, i poliziotti e i <i>concierges</i> degli alberghi di lusso.<br class='autobr' />
Non è un caso che l'arsenale teorico di Bourdieu sia ancora produttivo: è stato modellato con l'attenzione costante a uomini e donne concreti, alle loro «pratiche» reali, lavoro incluso, da uno studioso che non ha mai dimenticato che «i movimenti per l'emancipazione sono lì per provare che una certa dose di utopismo» traduco liberamente dalla splendida <i>Lezione sulla lezione</i> con la quale Bourdieu ha inaugurato nel 1982 la sua presenza in uno dei templi della cultura francese, il Collège de France «può anche contribuire a creare le condizioni politiche di una negazione pratica della mera constatazione realistica».</p></div>
Anna Boschetti - Ismes. Du réalisme au postmodernisme
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http://ragionipratiche.it/recensioni/article/anna-boschetti-ismes-du-realisme2016-07-20T12:45:45Ztext/htmlitFabio AndreazzaCampo letterarioFilosofiaCampo intellettualeUniversitàAnna Baldini<p>Cosa accomuna L'Atelier de l'artiste di Courbet e l'introduzione di Spivak alla traduzione inglese di De la grammatologie di Derrida? Le parole e le cose di Foucault, Le Mots di Sartre e le parole in libertà di Marinetti? Nelle storie letterarie, dell'arte o delle idee queste opere sono catalogate come seminali o esemplari di un “movimento” artistico o intellettuale – e, più precisamente, dei cinque “ismi” cui Anna Boschetti dedica i capitoli del suo ultimo libro: “realismo”, “futurismo”, “esistenzialismo”, “strutturalismo” e “postmodernismo”.</p>
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<div class='rss_chapo'><p>da: Allegoria, n. 71-72, gennaio-dicembre 2015, p. 326.<br class='autobr' />
<a href="http://www.allegoriaonline.it/index.php/120-tremila-battute/71/883-anna-boschetti-ismes-du-realisme-au-postmodernisme" class='spip_url spip_out auto' rel='nofollow external'>http://www.allegoriaonline.it/index.php/120-tremila-battute/71/883-anna-boschetti-ismes-du-realisme-au-postmodernisme</a></p></div>
<div class='rss_texte'><p>Anna Boschetti, <i>Ismes. Du réalisme au postmodernisme</i>, CNRS Éditions, Paris 2014.</p> <p>Cosa accomuna <i>L'Atelier de l'artiste</i> di Courbet e l'introduzione di Spivak alla traduzione inglese di <i>De la grammatologie</i> di Derrida? <i>Le parole e le cose</i> di Foucault, <i>Le Mots</i> di Sartre e le parole in libertà di Marinetti? Nelle storie letterarie, dell'arte o delle idee queste opere sono catalogate come seminali o esemplari di un “movimento” artistico o intellettuale – e, più precisamente, dei cinque “ismi” cui Anna Boschetti dedica i capitoli del suo ultimo libro: “realismo”, “futurismo”, “esistenzialismo”, “strutturalismo” e “postmodernismo”. Le virgolette sono dell'autrice, che nei punti decisivi dell'esposizione si serve di questo accorgimento editoriale per invitare il lettore a tener sotto controllo gli automatismi percettivi che si accompagnano al concetto di “movimento” intellettuale o artistico. Le istituzioni educative infatti – dalla scuola con i suoi manuali ai conflitti accademici delle interpretazioni – tendono a dare un'idea della storia culturale come una successione di “movimenti” che nascono, si sviluppano e muoiono, e di cui gli studiosi cercano di individuare la definizione, l'essenza che ne attraversa le diverse fasi. Boschetti mostra invece come ogni “ismo” sia un modo per classificare e raggruppare opere dalla genesi spesso irrelata, un'etichetta nata all'interno del conflitto che nei campi culturali oppone gli intellettuali e gli artisti che hanno conquistato posizioni di prestigio a quelli che per soppiantarli rinnovano gli strumenti del lavoro culturale. Intellettuali e artisti in via di affermazione si raggruppano designando un nuovo “ismo”, scrivendo manifesti, fondando riviste, ristrutturando i canoni: ma si tratta di alleanze il più delle volte momentanee, fondate più su rifiuti condivisi che su intenti comuni. Perciò ogni tentativo di definirle in maniera sintetica ed esaustiva (“il futurismo è…”, “lo strutturalismo è…”) non può che fallire – o meglio, fa parte esso stesso del conflitto che anima incessantemente i campi culturali: tra le condizioni che hanno consentito ad alcune di queste etichette di trasformarsi in termini chiave della storia culturale, infatti, c'è proprio il lavoro di cristallizzazione operato dalla critica, dall'accademia e dai <i>media </i> su termini nati come strumenti di battaglia e oggetti del contendere. <br class='autobr' />
I cinque “ismi” trattati nel libro hanno avuto Parigi come centro propulsore, ma la loro rilevanza si è estesa ben al di là della cultura francese: come hanno mostrato le più recenti ricerche sulla circolazione internazionale delle idee, infatti, fino alla metà del secolo scorso la capitale francese ha funzionato come un “meridiano di Greenwich” della cultura mondiale – è stata cioè il luogo geografico che ha scandito il tempo della modernità artistica e intellettuale. Per fare soltanto un esempio, il successo internazionale del futurismo non sarebbe stato possibile senza la consacrazione parigina che Marinetti riesce a ottenere grazie al suo precoce inserimento nel campo letterario della capitale francese; e, d'altra parte, proprio la provenienza del fondatore da un contesto provinciale e arretrato come quello italiano ha conferito al futurismo una radicalità eversiva che ha poi servito da modello funzionale a ogni successiva avanguardia. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale Parigi perde la funzione di capitale culturale mondiale, che migra verso il mondo anglofono; Boschetti contribuisce all'analisi di questa trasformazione epocale illustrando come il processo di importazione dello strutturalismo francese nei <i>campus</i> statunitensi abbia portato all'invenzione della <i>French Theory</i> e del postmodernismo. <br class='autobr' />
Quest'ottica transnazionale e interdisciplinare è fondata su un paradigma forte di interpretazione dei fenomeni culturali, derivato dalle <i>Regole dell'arte</i> di Bourdieu e affinato e arricchito negli ultimi decenni da ricercatori di tutto il mondo. Come altri studi prodotti da questo cantiere di ricerca internazionale, questo libro potrà servire da modello a tutti coloro che si stanno impegnando nel rinnovamento dei modi e delle forme della storiografia letteraria.</p></div>
Seminario
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http://ragionipratiche.it/segnalazioni/article/seminario2016-06-14T06:49:22Ztext/htmlitFabio Andreazza<p>Seminario di storia economica e sociale (SEES) 2015 - 2016<br class='autobr' />
Gianluca Albergoni (Università di Pavia)<br class='autobr' />
Fare storia sociale della produzione culturale: esperienze e riflessioni<br class='autobr' />
MERCOLEDI' 15 GIUGNO<br class='autobr' />
dalle ore 16:00 alle ore 19:00<br class='autobr' />
Istituto italiano per la storia moderna e contemporanea - via Caetani, 32 Roma</p>
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<a href="http://ragionipratiche.it/segnalazioni/" rel="directory">Segnalazioni</a>
<div class='rss_texte'><p>Seminario di storia economica e sociale SEES 2015 - 2016</p> <p>Gianluca Albergoni<br class='autobr' />
(Università di Pavia)<br class='autobr' />
Fare storia sociale della produzione culturale: esperienze e riflessioni</p> <p>MERCOLEDI' 15 GIUGNO<br class='autobr' />
dalle ore 16:00 alle ore 19:00<br class='autobr' />
Istituto italiano per la storia moderna e contemporanea - via Caetani, 32 Roma</p> <p>Istituto Storico Italiano per l'età Moderna e Contemporanea<br class='autobr' />
Palazzo Antici Mattei di Giove<br class='autobr' />
via Michelangelo Caetani 32, Roma</p> <p><a href="http://www.iststor.it/" class='spip_url spip_out auto' rel='nofollow external'>http://www.iststor.it/</a></p> <p>Seminario di storia economica e sociale (SEES), frutto della collaborazione fra Istituto italiano per la storia moderna e contemporanea, ISEM-CNR e ISSM-CNR</p> <p>Le letture preliminari al seminario:</p> <p>Pierre Bourdieu, Per una scienza delle opere [1986],<br class='autobr' />
in Id., Ragioni pratiche, Bologna, il Mulino 1995, pp. 51-69 <br class='autobr' />
[da non confondere con l'omonima intervista del 1992, qui tradotta: <a href="http://www.allegoriaonline.it/PDF/216.pdf" class='spip_url spip_out auto' rel='nofollow external'>http://www.allegoriaonline.it/PDF/216.pdf</a>]</p> <p>Denis Saint-Jacques-Alain Viala, À propos du champ littéraire. Histoire, géographie, histoire littéraire</p> <p>"Annales HSS", n. 2, 1994, pp. 395-406 - scaricabile da: <a href="http://www.persee.fr/doc/ahess_0395-2649_1994_num_49_2" class='spip_url spip_out auto' rel='nofollow external'>http://www.persee.fr/doc/ahess_0395-2649_1994_num_49_2</a></p></div>
La miseria del mondo, a Firenze
http://ragionipratiche.it/segnalazioni/article/la-miseria-del-mondo-a-firenze
http://ragionipratiche.it/segnalazioni/article/la-miseria-del-mondo-a-firenze2015-12-10T08:36:16Ztext/htmlitMichele Sisto<p>Giovedì 10 dicembre 2015 viene presentata a Firenze l'edizione italiana della Miseria del mondo. Scarica la locandina.</p>
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<a href="http://ragionipratiche.it/segnalazioni/" rel="directory">Segnalazioni</a>
<div class='rss_texte'><p>Giovedì 10 dicembre 2015 viene presentata a Firenze l'edizione italiana della Miseria del mondo. Scarica la locandina.</p></div>
Produzione, riproduzione e distinzione
http://ragionipratiche.it/segnalazioni/article/produzione-riproduzione-e
http://ragionipratiche.it/segnalazioni/article/produzione-riproduzione-e2015-12-03T10:42:32Ztext/htmlitMichele SistoPierre BourdieuSociologiaConferenzeLoïc WacquantMarco PitzalisAntonietta De Feo<p>Produzione, riproduzione e distinzione<br class='autobr' />
Studiare il mondo sociale con (e dopo Bourdieu)<br class='autobr' />
a cura di Antonietta De Feo e Marco Pitzalis<br class='autobr' />
con scritti di Pierre Bourdieu e Loïe Wacquant<br class='autobr' />
Cagliari, CUEC, 2015, 240 p.</p> <p>Il libro è un'opera collettanea dedicata alla sociologia di Pierre Bourdieu, che prosegue l'esperienza italiana di riscoperta intellettuale dell'autore francese e del suo progetto scientifico. Il volume, traendo ispirazione dal convegno internazionale “Scienza e critica del mondo sociale: la lezione di Pierre Bourdieu” tenutosi a Cagliari il 6-7 giugno 2013, vuole contribuire alla riflessione sul sistema di concetti e di principi epistemologici che guida la ricerca bourdieusiana. Il file rouge, che unisce i contributi raccolti, è l'idea che la lezione sul metodo del sociologo d'oltralpe fornisca ancora gli strumenti per un'analisi insieme critica, teoricamente rigorosa, ed empiricamente fondata del mondo sociale contemporaneo.</p>
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<div class='rss_texte'><p>Produzione, riproduzione e distinzione<br class='autobr' />
Studiare il mondo sociale con (e dopo Bourdieu)<br class='autobr' />
a cura di Antonietta De Feo e Marco Pitzalis<br class='autobr' />
con scritti di Pierre Bourdieu e Loïe Wacquant<br class='autobr' />
Cagliari, CUEC, 2015, 240 p.</p> <p>ISBN 978-88-8467-952-9<br class='autobr' />
University Press/Ricerche sociali<br class='autobr' />
Disponibile anche in formato ebook</p> <p>Il libro è un'opera collettanea dedicata alla sociologia di Pierre Bourdieu, che prosegue l'esperienza italiana di riscoperta intellettuale dell'autore francese e del suo progetto scientifico. Il volume, traendo ispirazione dal convegno internazionale “Scienza e critica del mondo sociale: la lezione di Pierre Bourdieu” tenutosi a Cagliari il 6-7 giugno 2013, vuole contribuire alla riflessione sul sistema di concetti e di principi epistemologici che guida la ricerca bourdieusiana. Il file rouge, che unisce i contributi raccolti, è l'idea che la lezione sul metodo del sociologo d'oltralpe fornisca ancora gli strumenti per un'analisi insieme critica, teoricamente rigorosa, ed empiricamente fondata del mondo sociale contemporaneo.<br class='autobr' />
In apertura di questo libro, un articolo di Pierre Bourdieu scritto con Loïc Wacquant mostra la dimensione etica e politica dell'impresa scientifica, un aspetto che è al cuore della sociologia di Bourdieu come ci ricorda lo stesso Wacquant, in un'intervista che chiude, quasi nostalgicamente, il volume.</p></div>
Una questione di autonomia?
http://ragionipratiche.it/atti-della-ricerca/article/una-questione-di-autonomia
http://ragionipratiche.it/atti-della-ricerca/article/una-questione-di-autonomia2015-09-28T16:10:57Ztext/htmlitFabio AndreazzaPierre BourdieuCampoGabriella PaolucciSociologia politica<p>Sebbene negli ultimi anni l'interesse verso Bourdieu sia cresciuto e si sia arricchito, la ricezione italiana di questo straordinario intellettuale è ancora segnata da molte lacune. Aspetti importanti dell'opera bourdieusiana sono rimasti pressoché inesplorati, quasi non fossero parte integrante di quello stesso corpus che per altri versi viene indagato e usato. Un esempio: il modo in cui (non) è stato recepito il contributo di Bourdieu alla comprensione – e allo smascheramento – delle forme di dominio simbolico che si annidano nelle istituzioni della politica e dello Stato. Ne è testimonianza la scarsa presenza di studi sul campo della politica e dello Stato che discutano il modello teorico bourdieusiano, ne usino l'apparato concettuale e adottino il suo sguardo dissacrante.</p>
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<div class='rss_chapo'><p>da: Rassegna Italiana di Sociologia, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 19-25.</p></div>
<div class='rss_texte'><p><i>Sebbene</i> negli ultimi anni l'interesse verso Bourdieu sia cresciuto e si sia arricchito, la ricezione italiana di questo straordinario intellettuale è ancora segnata da molte lacune. Aspetti importanti dell'opera bourdieusiana sono rimasti pressoché inesplorati, quasi non fossero parte integrante di quello stesso <i>corpus</i> che per altri versi viene indagato e usato. Un esempio: il modo in cui (non) è stato recepito il contributo di Bourdieu alla comprensione – e allo smascheramento – delle forme di dominio simbolico che si annidano nelle istituzioni della politica e dello Stato. Ne è testimonianza la scarsa presenza di studi sul campo della politica e dello Stato che discutano il modello teorico bourdieusiano, ne usino l'apparato concettuale e adottino il suo sguardo dissacrante. La stessa tiepida accoglienza riservata ad alcune importanti traduzioni è segno di un marcato disinteresse verso questo lato della sociologia bourdieusiana. Penso allo scarso successo dell'edizione italiana (parziale) dei corsi tenuti al Collège de France sullo Stato (Bourdieu, 2012). Eppure questo volume riveste un grande rilievo, sia per il profilo sostantivo che per il posto che occupa nel percorso complessivo del suo autore. Con le sue oltre seicento pagine dedicate alla genesi e alla struttura dello Stato – “quel settore del campo del potere che si definisce per il possesso del monopolio della violenza fisica e simbolica legittima” – <i>Sur l'État</i> è una delle espressioni più sistematiche del lavoro compiuto da Bourdieu sul potere e la politica. Un lavoro che inizia a prendere corpo già negli anni 70, con la messa in discussione della nozione di “opinione pubblica” (Bourdieu, 1971), e la minuziosa decostruzione dell'ideologia dominante (Bourdieu e Boltanski, 1976) e l'analisi delle condizioni sociali della competenza politica (Bourdieu, 1977). L'interesse di Bourdieu per questi argomenti si precisa e si affina poi negli anni 80 e 90, con l'elaborazione di una più sistematica definizione del campo politico (Bourdieu, 1981a), al quale sono dedicati i successivi saggi sulle condizioni di possibilità dell'efficacia dell'agire politico (Bourdieu, 1981b, 1984a) e sulla relazione che sussiste tra i campi che «hanno in comune la pretesa di imporre una visione legittima del mondo sociale (cfr. Bourdieu 1996, trad. it. pp. 74-5). Questi sono anche gli anni in cui Bourdieu inizia a muovere i primi passi verso la costruzione di quella genealogia dello Stato moderno che gli permetterà di definirlo come uno dei centri d'imputazione fondamentali della violenza simbolica (Bourdieu, 1993a). Non possiamo dimenticare, in questo veloce e schematico excursus, <i>La noblesse d'État</i> (Bourdieu, 1989), il volume (ancora non tradotto in italiano) che contiene una delle analisi più dense e raffinate sull'esercizio della violenza simbolica da parte dello Stato. Già da questi brevi accenni emerge la portata dirompente dello sguardo bourdieusiano. Sarà forse per queste sue caratteristiche che, come nota Wacquant (2005: 7), l'interpretazione di Bourdieu come sociologo (e filosofo) della politica è tra le meno diffuse? Sta di fatto che le scienze sociali italiane sembrano distinguersi nel panorama internazionale per la scarsità di studi che discutano questa dimensione del progetto scientifico bourdieusiano e che sperimentino le potenzialità euristiche di un apparato concettuale in grado di avviare importanti direzioni di ricerca per lo smascheramento dei sempre nuovi dispositivi di dominio simbolico che lo Stato e la politica mettono in atto. Certo, non possiamo passare sotto silenzio il prezioso lavoro di traduzione che in anni recenti ha reso disponibili al pubblico italiano alcuni dei testi bourdieusiani più importanti su questi temi (oltre al già citato <i>Sullo Stato</i>, cfr. tra gli altri: Bourdieu, 1984d, 1996, 1997, 2000, 2001; Wacquant, 2005). Ma se andiamo a guardare la pubblicistica italiana, non è difficile accorgersi della scarsità dei lavori che si appropriano dei concetti e dei modelli bourdieusiani, tanto da rendere assai difficile parlare di una direzione di ricerca con una sua identità e sue dinamiche interne. L'impressione che si ricava è semmai quella di un piccolo insieme eterogeneo di studi che non dialogano fra di loro se non indirettamente, per il tramite del testo bourdieusiano. C'è da dire che in questa sorta di nicchia, temi e modalità di appropriazione del modello bourdieusiano sono di interesse. Nel campo sociologico, insieme alle introduzioni ad alcune traduzioni dei testi di sociologia della politica e dello Stato (ad esempio Cerulo, 2010), vanno annoverati interventi che si appropriano della prospettiva bourdieusiana con una certa originalità. Limitiamoci agli anni Duemila, che sono del resto gli anni più prolifici. In questo periodo sono stati pubblicati lavori sul campo della politica come “mondo a parte” (Balbo, 2001); analisi sul potere simbolico esercitato da una certa leadership politica in una città dell'Italia meridionale (Savonardo 2003); studi sulle logiche istituzionali e simboliche del potere della mafia italiana, messe a confronto con la dimensione del potere statuale (raccolti in Santoro, 2007); indagini sul binomio governo/governance (Borghini, 2011); e, ancora, studi sulle produzioni discorsive delle istituzioni statuali finalizzate alla legittimazione delle politiche locali di privatizzazione (Cataldi e Gargiulo, 2011; Colombo e Gargiulo 2012). Vanno inoltre segnalati i saggi di Lombardo sul campo politico (Lombardo 2006 a; 2006b), il contributo di De Giorgio sulla rappresentazione della violenza simbolica nell'immaginario dei movimenti sociali (De Giorgio, 2013), oltre allo studio di Scott su Bourdieu e lo Stato, pubblicato dalla rivista <i>InTrasformazione</i> (Scott, 2013). In campo giuridico è d'interesse il contributo di Verdolini su <i>Studi sulla questione criminale</i> (Verdolini, 2006), in cui l'autrice, sulla scorta dei modelli di Foucault, Bourdieu e Agamben, coglie nella relazione tra corpo, simboli e violenza il terreno sul quale agisce la violenza simbolica dello Stato e del terrorismo politico (Verdolini, 2006). In ambito filosofico troviamo il volume di Piazzesi su abitudine e potere in Bourdieu e Pascal (Piazzesi, 2003) e, più recentemente, l'intervento di Denunzio sulla lettura bourdieusiana della prima “Tesi su Feuerbach” (Denunzio, 2013). L'autore propone un'interpretazione della prassiologia di Bourdieu alla luce della ricomposizione che opera tra fenomenologia e strutturalismo. Un tema che è evidentemente legato alla filosofia della politica di Bourdieu. Di dominio simbolico esercitato dallo Stato si occupa anche Ricciardi nel saggio “Stato e dominio simbolico”, pubblicato nella rivista <i>Amministrare</i> (Ricciardi, 2008).</p></div>