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Una questione di autonomia?
La (non) ricezione della sociologia politica di Bourdieu
lunedì 28 settembre 2015,
Gabriella Paolucci
[ pubblicato da
da: Rassegna Italiana di Sociologia, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 19-25.
Sebbene negli ultimi anni l’interesse verso Bourdieu sia cresciuto e si sia arricchito, la ricezione italiana di questo straordinario intellettuale è ancora segnata da molte lacune. Aspetti importanti dell’opera bourdieusiana sono rimasti pressoché inesplorati, quasi non fossero parte integrante di quello stesso corpus che per altri versi viene indagato e usato. Un esempio: il modo in cui (non) è stato recepito il contributo di Bourdieu alla comprensione – e allo smascheramento – delle forme di dominio simbolico che si annidano nelle istituzioni della politica e dello Stato. Ne è testimonianza la scarsa presenza di studi sul campo della politica e dello Stato che discutano il modello teorico bourdieusiano, ne usino l’apparato concettuale e adottino il suo sguardo dissacrante. La stessa tiepida accoglienza riservata ad alcune importanti traduzioni è segno di un marcato disinteresse verso questo lato della sociologia bourdieusiana. Penso allo scarso successo dell’edizione italiana (parziale) dei corsi tenuti al Collège de France sullo Stato (Bourdieu, 2012). Eppure questo volume riveste un grande rilievo, sia per il profilo sostantivo che per il posto che occupa nel percorso complessivo del suo autore. Con le sue oltre seicento pagine dedicate alla genesi e alla struttura dello Stato – “quel settore del campo del potere che si definisce per il possesso del monopolio della violenza fisica e simbolica legittima” – Sur l’État è una delle espressioni più sistematiche del lavoro compiuto da Bourdieu sul potere e la politica. Un lavoro che inizia a prendere corpo già negli anni 70, con la messa in discussione della nozione di “opinione pubblica” (Bourdieu, 1971), e la minuziosa decostruzione dell’ideologia dominante (Bourdieu e Boltanski, 1976) e l’analisi delle condizioni sociali della competenza politica (Bourdieu, 1977). L’interesse di Bourdieu per questi argomenti si precisa e si affina poi negli anni 80 e 90, con l’elaborazione di una più sistematica definizione del campo politico (Bourdieu, 1981a), al quale sono dedicati i successivi saggi sulle condizioni di possibilità dell’efficacia dell’agire politico (Bourdieu, 1981b, 1984a) e sulla relazione che sussiste tra i campi che «hanno in comune la pretesa di imporre una visione legittima del mondo sociale (cfr. Bourdieu 1996, trad. it. pp. 74-5). Questi sono anche gli anni in cui Bourdieu inizia a muovere i primi passi verso la costruzione di quella genealogia dello Stato moderno che gli permetterà di definirlo come uno dei centri d’imputazione fondamentali della violenza simbolica (Bourdieu, 1993a). Non possiamo dimenticare, in questo veloce e schematico excursus, La noblesse d’État (Bourdieu, 1989), il volume (ancora non tradotto in italiano) che contiene una delle analisi più dense e raffinate sull’esercizio della violenza simbolica da parte dello Stato. Già da questi brevi accenni emerge la portata dirompente dello sguardo bourdieusiano. Sarà forse per queste sue caratteristiche che, come nota Wacquant (2005: 7), l’interpretazione di Bourdieu come sociologo (e filosofo) della politica è tra le meno diffuse? Sta di fatto che le scienze sociali italiane sembrano distinguersi nel panorama internazionale per la scarsità di studi che discutano questa dimensione del progetto scientifico bourdieusiano e che sperimentino le potenzialità euristiche di un apparato concettuale in grado di avviare importanti direzioni di ricerca per lo smascheramento dei sempre nuovi dispositivi di dominio simbolico che lo Stato e la politica mettono in atto. Certo, non possiamo passare sotto silenzio il prezioso lavoro di traduzione che in anni recenti ha reso disponibili al pubblico italiano alcuni dei testi bourdieusiani più importanti su questi temi (oltre al già citato Sullo Stato, cfr. tra gli altri: Bourdieu, 1984d, 1996, 1997, 2000, 2001; Wacquant, 2005). Ma se andiamo a guardare la pubblicistica italiana, non è difficile accorgersi della scarsità dei lavori che si appropriano dei concetti e dei modelli bourdieusiani, tanto da rendere assai difficile parlare di una direzione di ricerca con una sua identità e sue dinamiche interne. L’impressione che si ricava è semmai quella di un piccolo insieme eterogeneo di studi che non dialogano fra di loro se non indirettamente, per il tramite del testo bourdieusiano. C’è da dire che in questa sorta di nicchia, temi e modalità di appropriazione del modello bourdieusiano sono di interesse. Nel campo sociologico, insieme alle introduzioni ad alcune traduzioni dei testi di sociologia della politica e dello Stato (ad esempio Cerulo, 2010), vanno annoverati interventi che si appropriano della prospettiva bourdieusiana con una certa originalità. Limitiamoci agli anni Duemila, che sono del resto gli anni più prolifici. In questo periodo sono stati pubblicati lavori sul campo della politica come “mondo a parte” (Balbo, 2001); analisi sul potere simbolico esercitato da una certa leadership politica in una città dell’Italia meridionale (Savonardo 2003); studi sulle logiche istituzionali e simboliche del potere della mafia italiana, messe a confronto con la dimensione del potere statuale (raccolti in Santoro, 2007); indagini sul binomio governo/governance (Borghini, 2011); e, ancora, studi sulle produzioni discorsive delle istituzioni statuali finalizzate alla legittimazione delle politiche locali di privatizzazione (Cataldi e Gargiulo, 2011; Colombo e Gargiulo 2012). Vanno inoltre segnalati i saggi di Lombardo sul campo politico (Lombardo 2006 a; 2006b), il contributo di De Giorgio sulla rappresentazione della violenza simbolica nell’immaginario dei movimenti sociali (De Giorgio, 2013), oltre allo studio di Scott su Bourdieu e lo Stato, pubblicato dalla rivista InTrasformazione (Scott, 2013). In campo giuridico è d’interesse il contributo di Verdolini su Studi sulla questione criminale (Verdolini, 2006), in cui l’autrice, sulla scorta dei modelli di Foucault, Bourdieu e Agamben, coglie nella relazione tra corpo, simboli e violenza il terreno sul quale agisce la violenza simbolica dello Stato e del terrorismo politico (Verdolini, 2006). In ambito filosofico troviamo il volume di Piazzesi su abitudine e potere in Bourdieu e Pascal (Piazzesi, 2003) e, più recentemente, l’intervento di Denunzio sulla lettura bourdieusiana della prima “Tesi su Feuerbach” (Denunzio, 2013). L’autore propone un’interpretazione della prassiologia di Bourdieu alla luce della ricomposizione che opera tra fenomenologia e strutturalismo. Un tema che è evidentemente legato alla filosofia della politica di Bourdieu. Di dominio simbolico esercitato dallo Stato si occupa anche Ricciardi nel saggio “Stato e dominio simbolico”, pubblicato nella rivista Amministrare (Ricciardi, 2008).